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Salvatore Narciso: ritratto di un uomo che ha attraversato il XX secolo

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Qualche settimana fa una carissima amica mi fece il nome di un uomo e me ne parlò così tanto bene che le sue parole suscitarono in me tanta curiosità. Mi era stato descritto quest’uomo come uno storico, non perché studi la storia, ma per la memoria storica che egli stesso rappresenta. Con questa premessa presi appuntamento per conoscerlo, magari ne sarebbe uscita, pensai, una bella intervista.

Appena arrivato, marito e moglie mi fecero accomodare in salotto e fin da subito iniziò la mia curiosità nel conoscere un uomo semplice, ma che ha fatto della sua vita qualcosa di straordinario. Parlo di Salvatore Narciso, nato a Catania il 4 gennaio 1929, ex maresciallo dei Carabinieri, che ha partecipato alla lotta al banditismo, direttore di un centro investigativo e scrittore di opere inedite. Ciò che mi colpì fin dall’inizio fu un uomo dalla grande vitalità nonostante i suoi 95 anni.

Cominciò subito a presentarsi.

«Sono nato – esordì il maresciallo Narciso – a Catania da una famiglia borghese, con dei genitori splendidi e con molti fratelli e sorelle. La mia era una famiglia numerosa, io sono il ventesimo figlio, in famiglia eravamo tredici fratelli e sette sorelle. Sono cresciuto in un quartiere periferico di Catania, San Cristoforo. Era un quartiere povero, abitato da falegnami, sarti, parrucchieri. Parliamo di un’epoca diversa, dato che sono nato nel 1929. Il centro di Catania era un’altra cosa rispetto ai quartieri periferici. In quegli anni non c’era luce e acqua nelle case. Negli angoli delle strade c’erano i lampioni e passava il “lampionaio” che aveva il compito di accenderli e spegnerli, passava perfino un ambulante che comprava i capelli. Ricordo le festività di allora che sono rimaste per me indimenticabili, prima fra tutte la Pasqua. Per Pasqua le famiglie uscivano e salutavano la gente per le strade, gente che neppure si conosceva. Quest’usanza ha lasciato in me una profonda impronta. Purtroppo oggigiorno vediamo famiglie che abitano negli stessi condomini e che non si salutano neppure nei pianerottoli. La nostra vita era diversa rispetto a quella di oggi. Il quartiere in cui sono cresciuto era povero, ma fatto di persone umane e generose. Era un periodo in cui si credeva fortemente al valore della famiglia e si dava un’educazione sana ai propri figli. Sono cresciuto, come già detto, in questa famiglia numerosa. Dei miei fratelli, quattro sono diventati marescialli dei carabinieri ed uno maresciallo della polizia stradale. Anche le mie sorelle hanno avuto la loro storia, ho un’infinità di nipoti sparsi in tutta Italia. All’età di 15 anni andavo alla ragioneria, però siccome era un periodo nero, accettai di lavorare in un pastificio nel mio quartiere. Il proprietario cercava un giovane di fiducia e aveva chiesto a mio fratello proprio di me. Il mio compito era di andare nei vari ristoranti a raccogliere le ordinazioni e poi durante la settimana dovevo andare a riscuotere il denaro. Riconosco, e lo riconobbi già da subito, che quel mio lavoro era di responsabilità e di fiducia. Dovetti lasciare quel mio primo lavoro perché era mio desiderio entrare nell’Arma dei Carabinieri. Entrai nel reparto mobile dell’Arma dei Carabinieri di Firenze, poi fui mandato a La Spezia, Arezzo, Pisa, e continuai a restare nel reparto mobile. Successivamente chiesi il trasferimento e mi mandarono a Taormina».

Il maresciallo Narciso ricorda perfettamente quegli anni vissuti al servizio dell’Arma dei Carabinieri.

«In quel periodo – continua a raccontare – venni assegnato, seppur giovanissimo, ad un reparto speciale. Erano gli anni in cui a Palermo c’era la lotta al banditismo, per i fatti di Salvatore Giuliano. E anche noi del nostro reparto ci occupammo di alcune missioni relative proprio al contrasto della banda di Giuliano.  Dopo questo periodo dovetti andare a prestare servizio a Genova. Io a quel periodo ero fidanzato, lo dissi alla mia fidanzata che però non volle lasciarmi partire da solo e partì con me a Genova. Svolsi solamente qualche periodo a Genova. Per questione di autorizzazioni richieste dall’Arma dovetti tuttavia, a malincuore, lasciare l’Arma dei Carabinieri e ritornai a Catania. Percepivo solo gli assegni familiari e a quel periodo mi aiutò economicamente un carissimo amico. Successivamente entrai in un impiego nel settore dei trasporti».

Seppure con tante difficoltà non mancò mai nel maresciallo Narciso una lotta alle ingiustizie. Episodi in cui si rese protagonista di lotta alle ingiustizie ce ne furono, ne vogliamo riportare una con le sue parole.

«Entrato in questa azienda dei trasporti gli altri lavoratori mi vollero come loro rappresentante. Inizialmente non volevo perché non sapevo nulla di politica o altro, però i miei colleghi insistettero e fui votato quasi all’unanimità. Il direttore di questa agenzia di trasporti trattava malissimo i lavoratori e li licenziava senza nessun valido motivo, perciò dovetti intervenire e, d’accordo con tutti gli operai, facemmo uno sciopero generale. È successo un bel trambusto, poiché intervenirono le forze dell’ordine per cercare di calmare la situazione. Però vennero anche altri imprenditori che, venuti a conoscenza della nostra situazione, si dimostrarono solidali nei nostri confronti. Il nostro sciopero portò all’arrivo di un nuovo direttore, che però si dimostrò peggiore del precedente e dopo varie vicende volle, ed ottenne, il mio licenziamento dall’azienda. Uno sciopero da parte dei miei colleghi portò l’azienda a rivalutare la mia posizione, venni reintegrato ma in un’altra azienda. Anni dopo ebbi diversi problemi di salute, fortunatamente risolti, e dopo qualche anno di servizio andai in pensione. Ma era un periodo di inattività per me, non riuscivo a stare fermo. Un giorno incontrai un maresciallo e appena seppe che ero in pensione mi consigliò di fare domanda per avere un istituto investigativo. Passato un certo periodo mi concessero l’istituto investigativo. Ebbi tra le mie mani diversi casi, alcuni molto importanti e delicati».

Il maresciallo Narciso ci racconta anche di come in questi ultimi anni non si sia lasciato abbattere dalla vecchiaia, anzi ha continuato, come dice lui stesso, a “spremere il cervello”.

«Durante il giorno sbrigo le mie attività in casa, ricevo la visita di qualche amico, la sera cerco di tenere la mente occupata e scrivo abbozzi di romanzi. In questi ultimi anni l’artista Carmen Arena, presidente dell’Accademia d’Arte Etrusca, ha voluto premiarmi qui a Catania con il premio “Aquila d’Argento”, non so se merito questo premio, io ho fatto nella mia vita ciò che ho potuto. Adesso ho una moglie, da tanti anni, che rispetto e mi rispetta e ci vogliamo bene. Ho un’infinità di nipoti, i quali mi vogliono bene e ai quali ricambio naturalmente questo affetto. Durante il covid avevo preparato la mia autobiografia, non l’ho fatta su due piedi. Sono andato a Palermo a cercare documenti e fotografie, ma nel frattempo ho voluto scrivere un altro libro intitolato “Donna oggi” perché è stato un periodo in cui si trattava tantissimo il tema sulla violenza delle donne. In questa mia pubblicazione ho voluto rimarcare un aspetto. Una volta a 50 anni la donna era considerata già vecchia, incapace di fare nulla. Oggi invece no, perché la donna con la sua intelligenza e la sua audacia ha saputo prendersi il posto che le spettava. In questa mia pubblicazione ho voluto rimarcare come negli anni passati abbiamo avuto donne che si sono distinte. A Catania, nel periodo risorgimentale, abbiamo avuto l’esempio di Peppa a Cannoniera, ossia Giuseppa Bolognara Calcagno, la quale divenne una delle figure principali durante le insurrezioni antiborboniche catanesi. Entrò in contatto con i rivoluzionari per l’Unità d’Italia e insieme ad alcuni volontari trascinò uno dei cannoni strappati ai borbonici per colpire le navi da guerra nemiche. C’è tutt’oggi una via a Catania intitolata proprio a Peppa a Cannoniera. Ma abbiamo un’infinità di donne che hanno dato il loro contributo alla società, pensiamo a Maria Montessori, Grazia Deledda, fino ad arrivare ai nostri giorni con Samantha Cristoforetti, la prima donna italiana astronauta aviatrice della stazione internazionale, e a Giorgia Meloni, che attualmente si trova a governare in un momento storico molto delicato in Italia. Il mio auspicio è che la donna, oltre a svolgere i propri compiti insieme all’uomo per l’istruzione e l’educazione della famiglia, sappia dare molte cose alla società e ad eliminare la violenza nelle scuole, nei posti di lavoro e nella società».

L’esempio di quest’uomo possa aiutarci a comprendere innanzitutto che non c’è un’età in cui si smette di crescere, di arricchirsi culturalmente e di dare il proprio sostegno a favore della società in cui viviamo.

In attesa che venga pubblicato il suo prossimo libro, voglio concludere con l’ultima frase inserita nell’opuscolo “Donna oggi”: “Non oso immaginare la vita senza una donna, sarebbe un buco nero senza respiro, una ferita infetta destinata a non guarire”