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Catania: l’Arcivescovo Renna in visita al Policlinico

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Mons. Luigi Renna agli specializzandi: “La compassione genera la speranza”

Ispirato dal versetto del Vangelo di Matteo “[ero] malato e mi avete visitato” S.E. Mons. Luigi Renna prosegue, quasi rispondendo ad un imperativo morale, la vista nei Santuari della sofferenza.

A fare gli onori di casa all’Osp. Policlinico – San Marco sono stati il Direttore Generale Dott. Gaetano Sirna, il Direttore Sanitario Dott. Antonio Lazzara, il Direttore Amministrativo Dott. Rosario Fresta ed il Cappellano ospedaliero Mons. Salvatore Scribano.

L’Arcivescovo ricorda che qualche tempo fa la Santa Sede ha prodotto un documento dal titolo “Samaritanus bonus” con particolare riferimento alla parabola del buon samaritano, dove si alternano diverse figure i briganti, i leviti e “il samaritano, che viene preso a modello di prossimità descritta nei minimi particolari”. Da questa parabola, visto il contesto in cui ci si trova, emergono diversi aspetti.

Innanzitutto “nella locanda del buon samaritano oggi si può riconoscere ogni luogo di cura, al quale si affidano le persone più care perché stiano bene, secondo un operato che fa ricorso non solo alla scienza ma anche alla coscienza”.

Un altro aspetto della parabola è “l’avere compassione”; con riferimento non ad “una compassione che, lasciandosi travolgere dai sentimenti, blocchi l’azione, bensì ad una compassione che, lasciandosi coinvolgere, spinga alla ricerca della cura migliore. Perché è dalla compassione che si genera la speranza”.

“Ringrazio S. E. Mons. Renna per la grande sensibilità che ha avuto, all’inizio del Suo mandato, nel decidere di visitare subito gli ospedali ed incontrare le persone che soffrono – ha detto il direttore generale dott. Sirna -. Negli ultimi due anni le strutture sanitarie hanno dovuto affrontare innumerevoli difficoltà per via della pandemia. Sono stati due anni duri sia per la popolazione, sia per i nostri professionisti che hanno combattuto un nemico sconosciuto, trovandosi per la prima volta di fronte ad una doppia responsabilità: da una parte quella di curare i malati, dall’altra quella di prendersi cura a 360 gradi della persona isolata dal resto del mondo e dai suoi affetti più cari. Questo luogo in particolare, questa Università, proprio in virtù dell’obiettivo didattico che ha, con il suo personale, ha quindi dovuto insegnare, soprattutto ai più giovani, ad assistere il paziente ma anche e specialmente ad accogliere l’uomo e la donna, a sviluppare con loro un rapporto di empatia, cercando di andare incontro e soddisfare quel bisogno di compassione di cui hanno avuto bisogno nei terribili momenti della malattia”.