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Catania, festa di Sant’Agata: l’omelia di Mons. Renna di giorno 5 febbraio

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Non abbiate paura: il messaggio di speranza di sant’ Agata

Onorevole Presidente della Regione Sicilia,

Eccellenza Signor Prefetto, Eccellenza Signor Commissario straordinario,

carissimi Confratelli Arcivescovi e Vescovi,

distinte Autorità civili e militari,

carissimi fratelli e sorelle,

due volte è risuonato nel Vangelo che è stato proclamato l’invito del Signore Gesù: “Non abbiate paura”! (Mt 10, 28. 31). Sono parole che hanno infuso speranza ai discepoli che Gesù ha voluto preparare al futuro. Noi cristiani siamo alla sequela di un Maestro che è risultato perdente secondo la cronaca del suo tempo: messo a morte come un bestemmiatore, in compagnia di altri malfattori, e con accanto a sé non un esercito armato pronto a difenderlo, ma solo la sua anziana madre e poche altre persone, per lo più donne. Eppure il Cristo ci ha detto di non avere paura, perché la Sua morte non è l’ultima parola: può essere forse l’ultima per l’uomo, ma non per Dio, che lo ha risuscitato. Ed è per questo che noi siamo qui a celebrare il Sacrificio Eucaristico di Cristo, e a fare memoria di una donna che circa due secoli dopo la morte e la risurrezione del Suo Maestro non ha avuto paura di coloro che straziavano il suo corpo e si apprestavano a gettarlo in una fornace per finirlo. Sant’ Agata è andata incontro alla morte senza la paura che dopo ci fosse il “nulla” o il “grande forse”. Credeva che ci sarebbe stato il Cristo risorto ad attenderla, lo Sposo che lei, vergine votata la Suo servizio, aveva scelto come l’unico amore.

Come sarà risuonato agli orecchi dei martiri come sant’ Agata quel “Non abbiate paura”? La paura portava molti cristiani, sotto le persecuzioni volute da alcuni imperatori di Roma, a rinnegare la fede: le tenebre profonde delle carceri che erano delle fosse insane, il caldo soffocante per l’ammucchiamento delle persone imprigionate, i maltrattamenti dei soldati, la raffinata crudeltà delle torture e l’efferatezza della pena capitale, sono tutti elementi sui quali concordano le narrazioni del martirio dei primi secoli, sia in autori cristiani, sia in insospettabili autori pagani. Nel Martirio di Policarpo si narra di un episodio che all’epoca doveva essere frequente: per paura del supplizio un cristiano rinnega la sua fede. Un certo

Quinto, narra il testo suddetto, venuto dalla Frigia a Smirne, si era costituito spontaneamente come cristiano, ma poi si era lasciato prendere dal terrore e il magistrato era riuscito a persuaderlo a giurare per gli dei e ad offrire un sacrificio.

Agata invece ha superato la paura: l’avrà forse avuta; ma l’avrà superata con una immensa fiducia in Dio, come tanti martiri di ogni tempo. Come don Pino Puglisi, che guardando in faccia il suo carnefice, quella sera del 15 settembre di trenta anni fa gli disse. “Me l’aspettavo”. E il giudice Rosario Livatino, che nel suo schietto siciliano disse a chi stava per uccidendo: “Chi vi fici?”

“Non abbiate paura!” Cioè: “ Siate coerenti, fidatevi di Dio” Fidatevi della potenza della Risurrezione, perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà. Perché voi valete più di molti passeri( cf Mt 10,31).

Cari fratelli e sorelle, vorrei che sant’ Agata, passando per le strade della nostra Catania, ci invitasse a non avere paura, perché perfino i capelli del nostro capo sono contati(cf Mt 10,30). Quelli dei devoti, come quelli degli uomini e delle donne che non credono. Quelli degli uomini giusti e quelli di coloro sono in carcere; quelli delle persone ben curate e profumate, e quelli di coloro che dormono per strada o frequentano ogni giorno le mensa della Caritas o di altre istituzioni benefiche. Sono contati i capelli dei soldati russi e di quelli ucraini, quelli che giacciono nelle fosse comuni; sono contati i capelli dei migranti. Dio continua a portare il conto dell’originalità di ciascuno di noi, soprattutto di chi si sente un invisibile. Ciascuno di noi vale di più di quanto può valere il pil di una nazione.

La paura indubbiamente è presente non solo davanti alla prospettiva del martirio, ma è una costante nella storia, tanto da far dire allo storico francese Jean Dulumeau che “le collettività e le civiltà stesse sono impegnate in un dialogo permanente con la paura”. Oggi le collettività vivono alcune paure che le bloccano e le paralizzano: quella del futuro, ad esempio, crea una cultura che alimenta la denatalità. Ma sappiamo che quel “Non abbiate paura” è detto anche per i timori di questo nostro tempo.

Anche noi catanesi oggi abbiamo tante paure con cui fare i conti. Di una Chiesa che non abbia il coraggio di camminare con il Risorto e di rinnovarsi nella comunione e nella missione. Di laici che non si sentano corresponsabili nella vita pubblica ed esauriscano il loro impegno di santificare le realtà di questo mondo, nel perimetro delle associazioni o delle parrocchie, o deleghino questo impegno ai ministri ordinati.

A Catania abbiamo paura di un futuro che impoverisca la nostra città. Abbiamo paura di una politica del “si è fatto sempre così”; che non sia frutto di scelte condivise e rinnovate. Abbiamo paura di una politica che non risolva i problemi della città, ma li

complichi con amministratori poco competenti, eterodiretti, con problemi in sospeso con la giustizia, che non danno esemplarità in una città che ha al suo interno una parte della sua popolazione agli arresti domiciliari. Per questo chiediamo a Sant’ Agata che ci faccia risuonare come rassicuranti le parole di Gesù: “Non abbiate paura”. E che ci faccia essere decisi come lei.

Non abbiate paura non è una frase che lascia tranquilli, come il famoso oppio dei popoli, che addormenta la coscienza e muove al disimpegno e alla delega in bianco, che non si può più rinnovare. Quello che purtroppo è divenuto un costume, che elezione dopo elezione ci fa perdere pezzi di cittadinanza e di vita democratica, ha le sue cause che le persone intelligenti conoscono, e richiede che la speranza si organizzi e ci veda corresponsabili.

Non abbiate paura, come sant’ Agata. Cioè abbiate speranza. Sant’ Agostino scrive: “Chi gode nella speranza, avrà un giorno anche la realtà. Chi invece non ha speranza non può arrivare alla realtà”( In Io ep. Tr.8,13)

Il poeta francese Charles Peguy dice che la speranza è “quella piccina, che trascina tutto. Perché la Fede non vede che quello che è. E lei vede quello che sarà. La Carità non ama che quello che è. E lei, lei ama quello che sarà. (…)Non è una schiava, questa bambina è irriducibile. Lei replica per così dire alle sue sorelle; a tutte le virtù, a tutti i misteri. Quando loro scendono lei sale, (è molto ben fatto,) Quando tutto scende solo lei risale e così le doppia, le decuplica,le allarga all’infinito. Dio ci ha fatto speranza.” Che la speranza prenda per mano la fede dei devoti di sant’ Agata, le istituzioni; prenda per mano la carità politica e la carità per i poveri; e le porti nella terra del futuro.

Questa fanciulla Santa di nome Agata dice a tutti. “Abbiate speranza! Rialzatevi. Costruite la Chiesa e la vostra città, portando nel futuro una fede sincera ed una carità operosa. Soprattutto una operosa carità politica, che sappia fare alleanze tra le generazioni, coinvolgendo i giovani, e con tutti i quartieri, anche i più periferici, perché Santa Aiutuzza non fa differenza fra le vie eleganti del centro e le strade dissestate di periferie. Io ho creduto nel Dio che conta i capelli del nostro capo”.