News

Il terremoto di Amatrice del 24 agosto 2016.

Reading Time: 5 minutes

Il Presidente dell’INGV, Carlo Doglioni, fa il punto sulla ricerca scientifica e sul monitoraggio sismico a cinque anni dall’evento che ha sconvolto l’Italia centrale

Il 24 agosto 2016, alle ore 3.36, con il terremoto di Amatrice di magnitudo 6.0 è iniziata una delle più importanti sequenze sismiche che ha colpito il territorio nazionale in questo secolo. La sequenza, detta “di Amatrice-Norcia-Visso” per l’estensione territoriale delle faglie attivate in quella notte, è stata particolarmente funesta, coinvolgendo un’area di circa 8000 km quadrati, 140 Comuni e circa 600.000 persone.

L’Italia, per sua natura, è un territorio dove i terremoti sono un elemento naturale che si interseca imprescindibilmente con la storia delle società locali.

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha la missione del monitoraggio e della sorveglianza sismica in Italia, oltre che lo studio dei meccanismi che generano i terremoti.

Nelle parole del Presidente dell’INGV, Carlo Doglioni, lo “stato dell’arte” della ricerca scientifica e del monitoraggio perché il terremoto fa ancora troppi danni in Italia: dobbiamo imparare a conoscerlo per difenderci meglio. E, soprattutto, perché l’unico dubbio che abbiamo non è ‘se’ ci sarà un terremoto ma solo ‘quando’ esso si verificherà.

Domanda. – Ogni terremoto rappresenta una sfida per chi scientificamente li studia. Quando l’evento determina distruzione e vittime, la sfida si pone innanzitutto all’uomo prima che allo scienziato.

Cosa ha rappresentato per lei questo evento?

Carlo Doglioni – E’ importante ricordare i terremoti, perché il nostro cervello tende invece a voler rimuovere il ricordo delle tragedie, mentre invece la memoria di questi eventi terribili ci aiuta a porre in essere tutte le possibili strategie difensive dagli eventi futuri che inevitabilmente torneranno.

Le nostre armi sono 1) avanzare nelle conoscenze scientifiche per poter costruire una società resiliente alle catastrofi, come quella di Haiti di pochi giorni fa, e 2) diffondere la cultura della prevenzione che si deve basare su quanto la ricerca scientifica è riuscita a comprendere per dare alla società civile gli strumenti per potersi difendere sempre meglio.

Per me l’evento di Amatrice è stato una frustata dolorosa dal punto di vista umano ma, come scienziato, uno stimolo forte per studiare con sempre maggiore determinazione l’origine dei terremoti.

D. – La sequenza sismica di Amatrice-Norcia-Visso è stata complessa sia spazialmente che temporalmente. Ma, sicuramente, è stata anche quella in Italia in cui il monitoraggio è stato più capillare.

Quali nuove informazioni ha raccolto la ricerca scientifica grazie a questa quantità e qualità  di dati?

C.D. – Dal 24 agosto 2016, la rete sismica nazionale dell’INGV ha registrato oltre 124.000 eventi, e ancora non è terminata. Nell’area epicentrale si è mobilizzato un volume crostale di circa 6000 km3 in un’area di circa 1000 km2, ma i danni si sono risentiti su un territorio almeno otto volte più grande.

Per noi ricercatori, ogni nuovo terremoto è un esperimento che studiamo con strumenti sempre più diffusi ed efficaci, per cui le conoscenze di oggi sono di gran lunga migliori di quelle che potevamo avere solo 10 o 20 anni fa.

I dati satellitari e terrestri delle deformazioni e degli scuotimenti associati a un terremoto sono sempre più abbondanti e ci permettono di comprendere sempre meglio come e perché si manifesta un evento sismico: un gradiente di pressione nella crosta terrestre che raggiunge lo stato critico limite che porta al movimento tra due lembi di terra, quando il respiro della Terra diventa violento.

La Terra è un corpo vivo, continuamente in movimento: basti pensare che il pavimento delle nostre case si alza e si abbassa ogni giorno di circa 40 cm: non ce ne accorgiamo perché la lunghezza d’onda di tale oscillazione dovuta alle maree solide è di alcune migliaia di km.

La sequenza sismica iniziata il 24 agosto 2016 è stata generata da un volume crostale che, per effetto dell’estensione perpendicolare alla catena appenninica di circa 4-5 mm/anno, attiva da milioni di anni, è scivolato anche di qualche metro verso il basso lungo dei piani di faglia cosiddetti distensivi: l’attrito sviluppatosi con questi movimenti ha generato le onde sismiche che hanno devastato tanti comuni del Centro Italia, come Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto, Pescara del Tronto, Norcia, Visso, ecc.

La storia sismica dell’area ci ha insegnato che sequenze sismiche di questo tipo possono dare eventi importanti per diversi mesi, come avvenne nel 1703.

D. – Nel 2016, come in altri precedenti terremoti italiani, si è visto che un aspetto importante è stata l’interazione tra faglie adiacenti.

E’ possibile sperare che la prossima sequenza sia in qualche modo più “prevedibile”?

C.D. – La speranza c’è, ma l’obiettivo è ancora lontano, anche se si comincia a intravederne la possibilità. Così come una volta i tumori erano definiti come una malattia incurabile, oggi, invece, per alcune patologie abbiamo concrete possibilità di guarigione, traguardo raggiunto grazie alla ricerca scientifica.

Analogamente, oggi conosciamo le aree dove sia per la sismicità storica, che per il contesto geologico, sono più prone a generare in futuro terremoti disastrosi: lì stiamo concentrando i nostri sforzi per monitorare il sottosuolo nazionale.

D. – Dal 1990 al 2016 In Italia abbiamo avuto sei terremoti funesti in circa 30 anni, quasi 1 ogni 5 anni.

Cosa può fare la ricerca scientifica per evitare “il peggio”?

C.D. – In Italia abbiamo registrato in media 20-25 terremoti distruttivi al secolo ed è quindi ragionevole attendersi un evento ogni 4-5 anni. Questa è la statistica. Non siamo in grado di prevedere dove e quando sarà il prossimo evento sismico per la sola ragione che ancora non conosciamo sufficientemente tutti i parametri e le condizioni fisiche che portano all’enucleazione di un terremoto. Sappiamo, però, che questo obiettivo è possibile: si tratta di studiare e misurare capillarmente tutto quello che la Terra ci permette di misurare: variazioni della sismicità, delle falde acquifere, delle modificazioni nel sottosuolo della velocità delle onde sismiche, delle variazioni delle velocità tra le stazioni GPS, ecc.

Anche a seguito dello stimolo della sequenza iniziata col terremoto di Amatrice, l’INGV sta investendo moltissimo nell’implementazione e nell’infittimento delle reti multiparametriche di monitoraggio che, grazie anche all’intelligenza artificiale e l’utilizzo di grandi sistemi di calcolo, ci permetteranno forse di avere col tempo stime previsionali affidabili. Le reti di monitoraggio sono le infrastrutture di ricerca che rappresentano i nostri ‘telescopi’ puntati verso il centro della Terra e che ci consentono di osservare il suo comportamento.

L’INGV è sempre operativo, h24, con tre sale di monitoraggio a Roma, Napoli e Catania, e tre dipartimenti scientifici che, oltre allo studio, al monitoraggio e alla sorveglianza dei terremoti, si spendono quotidianamente per l’ambiente e per il rischio vulcanico.

D. – Nel Recovery Plan sono previsti investimenti nella ricerca scientifica, settore che in Italia non è stato mai particolarmente finanziato in termini di punti di PIL.

Investire nella ricerca può significare investire anche nella  riduzione del rischio sismico?

C.D. – Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) non sono specificatamente previsti finanziamenti per la difesa dai rischi naturali e in particolare dai terremoti, ma ci aspettiamo che in corso d’opera vi sia una concreta presa di coscienza dell’importanza di canalizzare risorse significative su questi temi fondamentali per l’Italia, nazione dove tra terremoti e vulcani, la coesistenza con eventi estremi ineludibili richiede una maggiore resilienza, che può concretizzarsi solo sulla base di nuove conoscenze e investimenti in prevenzione.

D. – Per promuovere la cultura della  prevenzione del rischio sismico occorre migliorare la comunicazione scientifica. Per far ciò, l’INGV è da sempre impegnato nelle scuole, fin dalla materna, e nelle Università affinché in tutto il percorso della propria formazione culturale, si abbia coscienza di questo aspetto del territorio.

Con quali principi si svilupperanno i nuovi progetti della comunicazione scientifica dell’Istituto?

C.D. – Risponderei con il motto ‘VALE’, acronimo di Vita, Abitazioni, Libertà, Economia: VALE la pena studiare la Terra, VALE bene fare prevenzione.

Dobbiamo in primis salvare la vita dei concittadini, ma è necessario passare di livello per tutelare le abitazioni che sono i nostri beni primari. In esse custodiamo la nostra cultura e le nostre radici che vengono azzerate da un evento sismico obbligandoci, spesso anche per un decennio, a vivere da sfollati, e quindi a perdere la libertà, determinando anche una profonda lacerazione del tessuto socio-economico della comunità colpita dal terremoto, con il conseguente impoverimento e spopolamento.

Il Covid ci ha svegliato da un sonno incosciente e ci ricorda come dagli eventi naturali come le pandemie e i terremoti si può uscire grazie alla ricerca scientifica e lavorando tutti insieme, in una società consapevole dei rischi e solidale nell’aiutare i nostri fratelli in difficoltà.

Comunicare è la prima forma di prevenzione e anche in questo l’INGV ha contribuito e continua a diffondere la cultura dell’autodifesa dai rischi naturali, per esempio con la campagna ‘Io non rischio’ e con varie altre manifestazioni che fungono da richiamo psicologico e culturale – come per i vaccini – dell’importanza di conoscere per essere preparati al prossimo evento.

Il sisma del 24 agosto 2016 ci ha insegnato che dobbiamo essere sempre pronti al prossimo evento e quindi è necessario studiare i terremoti con sempre maggiore impegno, oltre che prepararci attraverso la dovuta prevenzione antisismica alle nostre case, ora più che mai possibile utilizzando tutti i benefici che lo Stato mette a disposizione.