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Catania: omelia nella Veglia di Pentecoste

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Eccellenza carissima, popolo di Dio che è in Catania,
questa sera siamo come una grande carovana che fa sosta nell’oasi della Pentecoste, il compimento della cinquantina pasquale, il giorno in cui celebriamo l’inizio della missione della Chiesa, la nostra Chiesa, che per la forza dello Spirito Santo è chiamata ad annunciare il Vangelo nella lingua degli uomini di ogni tempo. L’abbiamo desiderata e la desideriamo
sempre, una Chiesa che sia giovane nell’annuncio del Vangelo, che sia autentica nella testimonianza del Suo Signore, che sia ricca di quei doni che le permettano di parlare al cuore di tutti gli uomini e donne del nostro tempo, ed ecco, in questo tempo di grazia, abbiamo iniziato un cammino sinodale, affinché questo desiderio diventi realtà. Cosa stiamo facendo
in questi anni, cosa faremo ancora? Ci porremo in ascolto dello Spirito, come gli apostoli nel Cenacolo, come la Chiesa a Gerusalemme, come ogni Chiesa che ha convocato sinodi, sicuri che non con le nostre sole forze, ma con il Fuoco del Paraclito e con il discernimento comunitario, noi saremo quello che siamo chiamati ad essere. Così il Concilio Vaticano II ci
ha parlato dell’azione dello Spirito santo: “Egli introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cf. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef 4,11-12; 1 Cor12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo la fa ringiovanire, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione con il suo Sposo” (Lumen gentium,4).

Ciascuno di noi oggi guarda al profondo della propria coscienza, ripensa alla sua storia di uomo e di donna che ad un certo punto della sua vita ha scoperto o riscoperto la fede, ha gioito perché il Signore ha posato il suo sguardo su di Lui: il battesimo e gli altri sacramenti dell’Iniziazione, il Signore che chiama, il carisma e la vocazione che abbiamo
scoperto nella nostra vita, e che ci ha introdotti alla sequela del Signore e alla testimonianza nella Chiesa: è tutto opera dello Spirito Santo. Ciascuno di noi oggi può dire: “Grazie Signore, per il dono dello Spirito, perché un giorno mi hai dato un cuore nuovo ed uno spirito nuovo, hai fatto sì che fossi condotto nel “mio suolo”, come dice il profeta Ezechiele, che è quello dell’appartenenza all’unico popolo di Dio. Ciascuno di noi oggi si guarda accanto, e scopre che non è solo in questo cammino, perché dall’Acqua e dallo Spirito, come da un grembo materno, il Signore ha suscitato ricchezza
di carismi e ministeri, che sono quelli dei nostri fratelli e sorelle: non è il loro “talento”, come laicamente potremmo dire, ma la forza dello Spirito che ha fatto e fa di noi un popolo variegato, in cui ci sono le vergini oranti dei nostri quattro monasteri, le consacrate che servono i poveri ed educano nella fede, i presbiteri e i diaconi che annunciano, santificano e guidano e c’è l’immensa schiera del popolo dei laici, che con diversità di carismi, santifica questa nostre città, e le “crisma” con la testimonianza del Messia, portando “la tuta da lavoro” nelle nostre assemblee, e l’abito battesimale nei
posti di lavoro e di cura, in ogni luogo. Cosa abbiamo vissuto in questo anno del cammino sinodale? Abbiamo vissuto l’ascolto, perché lo Spirito parla per trasformare. Nei vicariati, tra presbiteri e tra laici, nelle riunioni parrocchiali e su alcuni posti di lavoro, dovunque abbiamo ascoltato narrazioni, nelle quali abbiamo visto lo Spirito all’opera, anche faticosamente all’opera, perché dove la nostra resistenza all’ascolto si fa più forte, più difficile è l’opera dello Spirito, che è
sempre rispettoso della libertà di ciascuno. Abbiamo ascoltato anche i “gemiti inesprimibili” dello Spirito, e li abbiamo riconosciuti in un mondo che soffre a causa della guerra, del disastro ecologico che è sotto i nostri occhi, della precarietà economica che attanaglia la nostra società, delle stanchezze della vita pastorale, che somiglia a quegli otri vuoti alle nozze di Cana, che attendono che qualcuno li riempia e il Signore ci ridoni il vino nuovo della festa. Abbiamo ascoltato ed oggi riceveremo il frutto del nostro ascolto, la relazione finale, redatta dall’equipe e dai referenti, don Pietro Longo e Dolores
Doria. Non è un documento da approvare: è una narrazione su cui ritornare, senza “bocciare” nulla di quello che i fratelli hanno detto ed espresso, perché quando si narra una storia non si può cancellare il vissuto, anche se può dispiacere. Laddove vedremo del bene, faremo come Barnaba, il discepolo inviato ad Antiochia, che seppe rallegrarsi di
quello che trovò in quella comunità e ne ringraziò il Signore. Quando vedremo qualcosa che è negativo e che rende più fiacca la nostra missione, vedremo che il nostro camminare insieme con la forza dello Spirito ci porterà a ringiovanire, a camminare percorrendo vie antiche in maniera nuova, o vie nuove con la testimonianza di santità dei nostri padri
nella fede. E l’anno prossimo ascolteremo ancora noi stessi, ci ascolteremo tra di noi, faremo sì che il nostro orecchio si spinga al di là dei nostri saloni parrocchiali e raggiunga tanti ambienti di vita, dove ci sono battezzati come noi e dove ci sono anche tanti uomini amati dal Signore che forse hanno da dirci qualcosa. Sarà un anno in cui tutto ciò che ci
sta a cuore sarà oggetto di ascolto reciproco, di narrazioni che mostreranno gioie e ferite, e chi si sentirà interpellato si accorgerà che ci teniamo a tutti. Sarà vero quanto affermato nel messaggio dei Vescovi del 29 settembre scorso: “L’ascolto è esso stesso annuncio, perché trasmette all’altro un messaggio balsamico: “Tu per me sei importante, meriti il mio tempo e la mia attenzione, sei portatore di esperienze e idee che mi provocano e mi aiutano a crescere”. I Vescovi ci hanno anche detto che “Il tono dello Spirito non è mai urlato – dov’è l’arroganza non è lo Spirito – ma sussurrato; San Paolo gli attribuisce addirittura il linguaggio dei “gemiti inesprimibili” (Rom 8,26). Perché lo Spirito si esprime in questo modo così sofferto? Perché è il veicolo dell’amore di Dio (cf. Rom 5,5), e l’amore assume il linguaggio dell’amato; infatti: “anche
noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Rom 8,23).”
Oggi ci porteremo nelle nostre parrocchie la gioia di aver incontrato i nostri compagni di strada, battezzati, ricchi di carismi: sono i doni che lo Spirito ci fa! Oggi torneremo alle nostre parrocchie e comunità con la consapevolezza che questo ascolto ci ha arricchito e va quindi riportato al nostro cuore, nei nostri gruppi, negli incontri estivi che avremo.
Oggi torneremo alle nostre comunità per celebrare, per testimoniare, sicuri che lo Spirito ci sta guidando e coltiveremo nel cuore il vivo desiderio di ascoltare tutti, anche persone lontane, chiedendo, anche spontaneamente, a gruppi e amici, in un clima di preghiera e di fraternità e con i più lontani, di semplice amicizia: “Come senti di appartenere alla Chiesa? Cosa chiedi a te stesso e ai tuoi fratelli per poter camminare nella sequela di Cristo e nella testimonianza? Racconta
quello che lo Spirito sta facendo in te”. Oggi torniamo nelle nostre comunità e ai luoghi dell’impegno quotidiano, con la certezza di questa confessione di fede, pronunciata da vescovo Ignazio Hazim metropolita di Lattaquié (l’antica Laodicea) durante l’Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese, il 4 luglio 1968: “Senza lo Spirito Santo Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, il Vangelo è lettera morta, la Chiesa è una semplice organizzazione, l’autorità è una dominazione, la missione una propaganda, il culto una evocazione e l’agire dell’essere umano una morale da schiavi. Ma nello Spirito santo il cosmo è sollevato e geme nella gestazione del Regno, Cristo Risorto è presente, il Vangelo è potenza di vita, la Chiesa significa comunione trinitaria, l’autorità è un servizio liberatore, la missione è una Pentecoste, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano è divinizzato. Lo Spirito santo (…) fa nascere, egli parla mediante
i profeti, egli ricolloca ogni cosa nel dialogo. Egli pone in comunione essendo egli stesso diffuso, egli attraverso il secondo avvento: Egli è Signore e dà la vita. Mediante lui, la Chiesa e il mondo gridano con tutto il loro essere “Vieni, Signore Gesù” (Ap22,17-20).
Questa è la nostra fede, questa certezza ci guida. Così sia.